Perché tante piccole imprese falliscono?

Analisi sull’imprenditoria statunitense dal punto di vista di un protagonista

Jay Goltz, proprietario di cinque piccole imprese a Chicago, in un suo articolo pubblicato sul New York Times il 5 gennaio 2011 analizza il mondo imprenditoriale a cui appartiene e crede di individuare alcuni dei motivi in grado di determinare il fallimento di tante piccole imprese nel proprio Paese.

Una visione per certi aspetti lungimirante e preveggente, quella di Jay Goltz, ampiamente condivisibile a nostro avviso anche dai cittadini europei, seppur a distanza di circa sei anni da quando il suo autore la rese manifesta, in quanto perfettamente in linea con la odierna condizione del panorama imprenditoriale mondiale.

L’imprenditore riferisce in base alla propria esperienza personale, dopo aver assistito a numerosi e repentini fallimenti di start-up emergenti tra cui due di sua proprietà, di conseguenza la sua opinione risulta oltremodo precisa ed attendibile.

La chiave del successo? Riconoscere tempestivamente problemi ed errori

Jay Goltz individua dieci e più i motivi come potenziali cause di fallimento per le piccole imprese, sintetizzabili in un unico concetto: gli imprenditori che hanno piena consapevolezza degli errori che commettono mentre gestiscono la propria impresa, nel momento stesso in cui stanno sbagliando, riescono sempre a trovare la soluzione ad ogni problema. Comprendere quindi, essere attenti o venire avvisati, aiutati e messi in condizione di  intervenire in tempo utile per rettificare si rivelano elementi vitali per impedire  il fallimento.

Non si tratta beninteso di un giudizio negativo né di un atto di accusa che l’autore rivolge agli imprenditori ma di una constatazione realistica. La mancanza di conoscenze adeguate e complete riguardo al settore lavorativo d’appartenenza determina una assoluta mancanza di potere nella gestione dei propri interessi che prima o poi causerà il disastro finanziario. Tale principio risulta applicabile soprattutto ai piccoli imprenditori, proprietari di quelle che da noi vengono comunemente definite piccole e medie imprese o PMI.

Questi professionisti che troppo spesso sono costretti a ruotare come satelliti attorno alla imprenditoria globale delle multinazionali o addirittura a competere con essa (Jay Goltz, cita quale esempio eclatante Best Buy Co., Inc., il maggiore rivenditore al dettaglio di elettronica di consumo negli Stati Uniti d’America), finiscono per mancare gli obiettivi fondamentali della propria attività, salvare l’azienda dal fallimento.

Conoscere il contesto, ma soprattutto la buona gestione

Grave, secondo Goltz, non è tanto l’ignorare i meccanismi occulti alla base dell’agire dei cosiddetti poteri  forti, banche, governo o competitor a cui vengono di norma attribuite le colpe del fallimento quanto il non saper valutare con obiettività la situazione che si sta vivendo, l’ignorare regole basilari di buona gestione ed ostinarsi in comportamenti sbagliati ben visibili ai clienti ed ai dipendenti dell’azienda che quasi sempre realizzano un’ottima comprensione di ciò che non funziona.

L’imprenditore sbaglia e continua a farlo in quanto non si rende conto che non c’è abbastanza domanda per il prodotto e il servizio offerti dalla sua azienda, resta chiuso entro schemi mentali mediocri precludendo a sé ed ai propri collaboratori qualsiasi opportunità di innovazione e di miglioramento tecnologico, oppure rovina un trend di successo con un’espansione incontrollata verso mercati poco produttivi, indebitandosi pur di mantenere la crescita.

La dura legge di mercato insegna che il business è ciclico e quando c’è va difeso con determinazione attraverso risparmi dedicati, controllo amministrativo, pianificazione, rispetto degli standard, un progetto di successione motivato sulle effettive capacità gestionali degli eventuali eredi ed applicato attraverso la formazione e l’aggiornamento delle risorse. Da evitare ovviamente il nepotismo, le lotte di potere interne all’azienda, avventurarsi verso mercati in declino, concorrere con le grandi imprese che possiedono elevato potere d’acquisto e la possibilità di investire in costose campagne pubblicitarie per ottenere successo.

La contabilità aziendale: un punto nevralgico dell’attività delle piccole imprese

Punto nevralgico di ogni attività commerciale e di quella delle piccole imprese in modo particolare resta, per Jay Goltz, la contabilità aziendale, un sapere essenziale che sostanzialmente determina il controllo del business da parte del titolare d’azienda.

Occorre combattere l’idea che la delega della gestione contabile ad uno studio commerciale esterno equivalga a salvaguardare il potere gestionale ed il successo del brand. Il commercialista potrà gestire imposte e tasse ma non influire sul business, compito esclusivo del direttore finanziario dell’azienda.

Il manager di una piccola impresa, figura di rilievo in cui si accentrano necessariamente  molteplici mansioni gestionali, sostiene l’autore statunitense, per evitare il fallimento della piccola impresa di proprietà, tra i tanti cappelli dedicati dovrà indossare anche quello del direttore finanziario fintantoché non potrà permettersi di assumerne uno quale dipendente in pianta stabile.

Fortunatamente ora in Italia esistono nuovi strumenti che permettono anche alle PMI di prendere il controllo delle informazioni contabili della propria azienda, senza essere o assumere ragionieri e delegando al commercialista solo le scritture e gli adempimenti più complessi (come il bilancio).

Questa nuova possibilità, che è una vera rivoluzione nella gestione contabile delle PMI, ha preso il nome di Contabilità online. Se vuoi saperne di più leggi questo articolo sulla Contabilità Online.

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